DoctorWriter [10] di MariaGiovanna Luini

foto di MAriaGiovanna Luini
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E’ MORTA, LASCIATELA LI’

“Lei no, è morta. Lasciamola lì, la togliamo dopo”.
La studentessa di medicina che respirava in me avrebbe accettato con un sospiro consapevole quelle parole solo in apparenza crudeli: di fronte a un incidente stradale molto grave si valuta subito chi possa essere salvato e chi no e si stabiliscono i gradi di rischio immediato per la vita. Non era strano che la voce sbucata dal buio invitasse i presenti a lasciare perdere – temporaneamente – la donna che giaceva storta e riversa dentro l’ambulanza accartocciata contro il muro.
“Lei no, è morta. Lasciamola lì, la togliamo dopo”.
Nei secondi che seguono un incidente catastrofico colpisce il silenzio. Anche quando l’aria è intasata di rumore esiste una sospensione piccola come un respiro trattenuto, un pensiero ancora non si formula ma è lì lì per nascere: c’è stato il “prima” e sta per iniziare l’eterno, gigantesco dopo.
Della morte repentina mi ha sempre impressionato questo: miliardi di eventi avrebbero potuto modificare il prima stabilendo un altro dopo, un dopo vivo e non morto, luminoso e non tragico. Quando la voce femminile disse che la donna doveva essere lasciata lì perché era morta era l’inizio del dopo: l’ambulanza disintegrata contro una massicciata su una curva fumava davanti, i Carabinieri attoniti perché presenti all’incidente si davano da fare per regolare lo scarso traffico delle due di notte, l’autista miracolosamente illeso vagava instupidito nel prato adiacente alla strada. E la donna di cui si diceva che fosse morta restava sdraiata con la fronte sanguinante, incastrata tra il lettino su cui ancora giaceva un ferito in ottime condizioni e i sedili laterali degli infermieri.
Studiavo medicina a Milano, ero al secondo anno (quello degli esami di Anatomia) e quella sera il mio turno di volontaria del soccorso era iniziato male. Un uomo era morto di infarto in casa, orribile trovarlo con gli occhi aperti e terrorizzati mentre cercava di raggiungere il telefono. Poi c’era stata la chiamata per un incidente a Cassago Brianza, avevamo faticato a trovare l’indirizzo ma eravamo arrivati rapidi nel luogo dove un giovane uomo aveva perso il controllo della macchina ed era andato a sbattere contro un palo. Niente di grave, ma era in stato di arresto. I Carabinieri si erano messi davanti all’ambulanza per mostrare la strada più breve, il portellone era stato chiuso ed eravamo ripartiti.
“Mi dà fastidio la testa, me la metti a posto?”.
Di quel “prima” ricordo questa richiesta, e ricordo di essermi sporta avanti verso il ferito. Mi sono alzata per aiutarlo a sistemare la testa.
“Lei no, è morta. Lasciamola lì, la togliamo dopo”.
E’ stato il fulmineo e inspiegabile “dopo”, senza alcunché in mezzo. Senza sospiri, canti, parole, urla, colpi, dolori o gioie. Un dopo senza spiegazione razionale, per me.
E la frase che avevo ascoltato nel buio ovattato che mi coccolava torpido sarebbe stata logica e perfettamente giustificabile, impeccabile dal punto di vista etico e medico.
Se solo la donna da lasciare lì non fossi stata io. Che vi scrivo dal mio eterno, sorprendente “dopo”.

© MariaGiovanna Luini, 2015

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