Corteggiamenti [18] di Alessandro Morbidelli

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Francesca

Tu mi vuoi bene, Francy. Lo so. Non è stata colpa tua, quel giorno di luglio, in riva al mare. Mica potevi saperlo che nascosto in quella manciata di sabbia che così, per gioco, mi tirasti in faccia, vi fosse un minuscolo pezzettino di vetro. Mica potevi immaginare che mi sarebbe finito in un occhio. Io lo so che mi vuoi bene. Che poi l’anno scorso avrei dovuto immaginarlo che, passando di fronte all’interruttore generale, avresti notato la levetta dell’elettricità impostata su OFF. E come potevi sapere che io stessi aggiustando la presa in camera? Io non posso che ringraziarti, per avermi salvato la vita. Se non mi avessi colpito con quel manico di scopa per staccarmi dalla corrente, sarei ancora lì, ad abbrustolire. Certo, la bastonata me l’hai data in testa, ma la frenesia, si sa, appanna la percezione. Tu mi vuoi bene. Ecco, forse al tuo posto non avrei inveito contro quel ministro lì, di cui non ricordo il nome, di fronte al notiziario delle otto. Sì, non avrei inveito con il coltello elettrico in mano. Più che altro non avrei gesticolato. Anche se sono davvero convinto che le future generazioni nasceranno tutte senza il mignolo alle mani. Dopotutto, tu mi hai fatto precursore, almeno da una parte. Tu mi vuoi bene e ci tieni tanto, a me. Come quella volta che sfumando il soffritto mi si incendiò la manica della camicia. Nessuno sarebbe mai stato più lesto, nel versarmi quell’acqua addosso. Mica sono puntiglioso, a me bastò che m’avesti spento. Anche se in quella pentola avevamo appena buttato la pasta.

Tu mi vuoi bene, ti diverti, con me. Come quella volta a Carnevale, che ci vestimmo da drughi, con tanto di bombetta, noi fans di Arancia Meccanica. Tu avevi il vecchio bastone di tuo nonno, che butterebbe giù un muro da quant’è duro. E io, con quella conchiglia in mezzo alle gambe, sembravo chiedertelo, di provarne la resistenza. Fatto sta che non mi fai mai mancare niente. La tua attenzione è per me lo specchio di un amore sincero. Amo tutto di te. Tipo la tua passione per la musica, che ti fa alzare sempre il volume a palla. Sta’ tranquilla, non me la sono presa per quella retromarcia. Come potevi sentirmi, con quel Tiziano Ferro sparato a mille? E poi cantava “Perdono”, neanche lo sapevi e già mi venivi incontro, in tutti i sensi.

E così è anche oggi, Francy. Oggi che l’ambulanza corre verso l’ospedale e tu mi tieni stretta la mano. Certo, è iniziato tutto in un negozio di giocattoli, con me che ti spingo a toccare quel serpentello di gomma, con te che sorridi e mi rispondi che starebbe bene sul davanzale della nostra finestra. Perché dopotutto, in un negozio di giocattoli, anche io sono un gioco tuo. Toy boy, dicono gli inglesi, ma non sanno la verità. Che ai giochi si vuol bene, perché ci fanno sorridere e sognare.

Ecco, la sirena dell’ambulanza suona, eppure io riesco a pensare solo a te che sei felice. Perché la pace di ognuno si regge sulla gioia di quelli che amiamo. E la mia si regge assai. È una buona equilibrista. Tu non cambiare mai. Sorridi. Gioca.

Solo, per favore, se puoi, lascia stare, adesso, quel defibrillatore…

© Alessandro Morbidelli

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