Corteggiamenti [12] di Alessandro Morbidelli

© foto di Zeno Watson

F.

 L’ufficio informazioni è stretto, sembra più un corridoio. Da una parte una ragazza dal volto stanco, anche se ha aperto da pochi minuti, e un badge al taschino con scritto Denise. Dall’altra una fila di computer su cui è possibile connettersi alla rete. Tu sembri una bambina, delicata e con l’entusiasmo lento di chi sa quanto siano importanti i momenti. Faccio io, mi dici, anche se non parli l’inglese. Ci provi, non demordi mai, ti metti in gioco. Ecco perché sono qui con te. Perché mi ricordi che bisogna sempre provare. E se proprio non c’è tempo per provare tutto, almeno non lasciarsi scappare il tentativo più importante, quello della felicità, che scivola via sempre, è nervoso e non lo si acchiappa mai. Lo sai tu e lo so io.
Un attimo prima che tocchi a te, ti volti e mi sorridi. Un po’ ti vergogni, perché chiedere a New York su quale lato di Manhattan faranno i fuochi del 4 luglio è proprio da italiani.
Io guardo le tue spalle sottili e penso che vorrei togliere loro ogni peso, sempre. Ne sfioro una e sento la pelle fresca proprio sotto la bretella di stoffa. Non ascolto quello che dici alla ragazza e non perché non mi importi: io mi fido.
Così usciamo. Contenti e sicuri. Passiamo un giorno intero a raccontarci di noi senza aprire bocca. A specchiarci nelle strade di New York e a respirare le folate della metro. Fa caldo, ma non ci importa. Ci sono i bicchieri di frutta venduti insieme agli hot-dog ai lati delle strade. Ci sono le panchine con gli scoiattoli sugli alberi. Chissà che sapore avrà uno scoiattolo alla brace, ti chiedo. E tu che sei vegetariana ridi e mi dici stronzo. Poi ci pensi un po’ e mi rispondi che non dovrebbe essere tanto diverso da un topo. Quando ti dico che allora no, se sa di topo devo proprio provarlo, guardi per terra e ti trema un po’ la bocca prima di ridere. Chissà dove sei andata adesso, chissà dove ti sei nascosta, lì, con lo sguardo basso. Chissà cosa pensi mentre mi stringi forte la mano.
Il sole tramonta come ogni cosa. Domani sarà un altro giorno, ma quello che ci aspetta è un concerto di esplosioni. È il 4 luglio e sta per alzarsi verso il cielo una tempesta di colori.
Camminiamo parecchio prima di arrivare alla riva est di Manhattan. Nell’aria c’è odore di brace. La passeggiata in cemento del lungofiume è popolata da ispanici e da orientali raccolti in improbabili pic-nic. Camminiamo verso nord e gli sguardi della gente intenta ai barbecue ci fanno sorgere il dubbio. Poi arriva il boato. E il riverbero cremisi di una luce abile a infiltrarsi tra i grattacieli. Viene dalla riva ovest, la riva opposta alla nostra. Tu mi guardi e stai per tirarla giù, la bestemmiona, perché già pregusti la mia. Ma l’hai visto, l’Hudson, qua? ti chiedo. Le risate di un gruppetto di bambini cinesi che giocano nella penombra con degli aquiloni ubriachi sono una carezza. Sto diventando proprio troppo romantico se non mi incazzo nemmeno per questo, ti dico. E tu ridi e mi abbracci. Facciamo in tempo? mi chiedi. Adesso abbiamo questo di tempo, ti rispondo un attimo prima che un omone con i baffi da adolescente ci raggiunga con un cartoccio in mano. Come with me! dice indicandoci la zolla verde sotto un albero dove altri stanno seduti, in contemplazione di un barbecue fumante. Ci avviciniamo e subito ci viene offerto qualcosa di caldo e bruciacchiato. Scoiattolo? ti dico io e tu ridi. Non te lo dico, ma è quando ridi che so di avere un senso. Vanno d’accordo i sensi con i tentativi? Esistono tentativi senza senso? Certo. Esistono, eccome. Eppure a volte sono inevitabili. Come i sorrisi di Lucas, Daniel e Gabrielly. Come il battere le mani di donna Asuelo quando le raccontiamo la nostra storia. In quanti staranno sudando emozioni convenzionali addosso ad altri altrettanto sinceri e onesti, lì, sulla riva ovest? Con gli occhi alti e la bocca aperta.
Ma questo scoiattolo alla brace, o qualsiasi altra bestia sia, alla luce di un carbone ardente, lo stiamo mangiando in pochi. E pazienza se abbiamo beccato gli unici astemi di tutta la riva est. Anche l’acqua è buona.
Così adesso, mentre torniamo verso l’albergo, sappiamo di poter vivere lampi d’incertezze in ogni momento, e che tutto ha un senso. Non finirà mai lo stupore, anche quando quello che arriverà non sarà quello che ci aspetteremo. Dobbiamo trattenere questi tesori, ti dico. E tu hai gli occhi velati dall’emozione, come gli scaffali di una biblioteca antica sono velati da una polvere sincera. Prima di entrare in albergo però mi fermo e ti fisso sorpreso. Cazzo, hai mangiato la carne! Che vegetariana sei? ti dico. Tu mi rispondi Era buona. Poi mi baci.

© Alessandro Morbidelli

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