21 grammi sulla pelle [1] di Viola E. Miller

© Ballerina che fa il saluto, di Degas
© Ballerina che fa il saluto, di Degas

21 grammi sulla pelle [1] di Viola E. Miller

Lo spettacolo terminò. Il Barone come suo solito si diresse verso i camerini dietro al palco.
Si rimise il cappello e bussò alla porta della prima ballerina.
«Mi sto cambiando.»
«Sono io…»
Lei riconobbe la voce, l’avrebbe riconosciuta tra mille.
«Puoi entrare»
Aprì.
Lui entrò, si tolse il cappello e le si avvicinò. Le mise la mano sulla bocca facendo segno di non parlare. Lei obbedì.
L’indice seguì il perimetro delle sue labbra. Prima quello superiore, poi salì e si fermò al centro. Rallentò. Proseguì lungo quello inferiore. Le labbra erano  rosa chiaro, giovani. Il peregrinare delle dita proseguì per altri giri. Piano piano, con dolcezza, le aprì la bocca. La ballerina aveva i seni fuori dal corpetto. Chiuse gli occhi. Li riaprì all’improvviso quando l’indice fuoriuscì dalla linea circolare che seguiva e salì sullo zigomo, quasi a incontrare l’occhio sinistro. Le palpebre sbattevano impercettibili. Vibravano sospese da quel tocco delicato. Il respiro si fece poco più rumoroso. L’indice disegnava quel ritratto in semicerchi astratti. Si unirono medio e anulare a coda di quel pensiero. Il viso divenne familiare. Sollevò la mano, il viso di lei si mosse alla ricerca sua, per averla sulle labbra.
«Non aprire gli occhi» disse lui.
La ballerina sentì un soffio.
Il Barone si accovacciò respirandole addosso, poggiò le sue labbra sul seno sinistro. La bocca si aprì a mordere con dolce fermezza il capezzolo. Era tutto nelle sua bocca ora. La ballerina abbassò il capo e lui le afferrò i lunghi capelli neri tirando la testa all’indietro.
La ballerina emise un verso di dolore, con l’altra mano il giovane le strinse il seno destro. Lo conteneva tutto. Lo roteava frizionandolo nel palmo.
Lei si incurvò per l’aria entrata velocemente nei polmoni, un colpo di diaframma la buttò fuori insieme al colpo di tosse.
D’improvviso la ballerina si fermò e allontanò il Barone con tutta la forza che aveva. L’uomo allargò le braccia senza capire.
Lei continuò a tossire piegata su se stessa. Portò le mani al ventre. Sputò per terra sangue.
Grumi porpora erano sparsi sul pavimento misti a siero. Il rischio di un semi soffocamento dovuto all’asma, pensò lui. Sua madre era morta per una bronchite. Il medico allora, il più insigne, non aveva potuto fare nulla, se non preparare la famiglia al peggio.
Ma lui amava la ballerina, non amava nessun’altra.
La teneva per sé, come fanno i soldati in battaglia quando stringono i ricordi vicino al cuore.
Anche se lei era una ballerina, quella che se l’era fatta il Barone padre, prima del figlio. A lui non importava. Quella sofferenza del cuore se la portava sempre. E ogni sincope o palpitazione erano generate in lui dalla sua bellezza, dalle sue labbra.
Appena si riprese, la sollevò adagiandola su un divanetto alle loro spalle.
Le versò un po’ d’acqua in un bicchiere. Le pulì la bocca con il proprio fazzoletto.
La ballerina aprì gli occhi. Allungò le braccia verso il giovane. Il Barone pensò a un abbraccio, invece lei lo prese di forza stringendo nei pugni il vestito. Lo attirò alle sue labbra. Lo baciò.
Il Barone non parve disgustato dal sapore nella bocca. Era sangue. A lui parve vino.
Con quel sangue avrebbe convissuto in eterno. “Perché con il cuore le forze possono mancare all’improvviso. L’infermo deve fermarsi per non rischiare la morte. In un momento per qualche rottura del cuore.” Questo fu sempre ciò che l’esimio disse in seguito. Erano conclusioni che coincidevano con quelle di Niccola Fonteyn, medico olandese e professor di Notomia in Amsterdam, il quale affermava che il cuore ha una doppia mole: una per le gioie e una per i dolori. E fuori misura ogni cuore deve essere ancorato, in quanto la storia insegna che l’amore è una febbre lenta, della quale non può scoprirsi la ragione.

© Viola E. Miller, 2015

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